Gutta Cavat Lapidem Milanensis
Egregio signor Milan.
Ce la farò.
Come goccia che perfora la roccia, così io, lo dichiaro,
avrò ragione di voi.
Ieri sera, vigilia del periodico incontro con voi, immaginandovi allineati
oltre il vetro con il numero di matricola bene in vista, mi sono accorto,
parlando con amici, che non avevo un tema specifico a supporto delle mie
richieste.
Ero come prosciugato, spossato, demotivato, se volete. Per
la prima volta ho temuto poteste vincere voi.
Poi, però…. NO!
Tenendo concione agli astanti con la lettura delle mie
precedenti ho capito perché non mollerò mai: i loro occhi si vestivano di luce
nuova.
Decenni di soprusi perdevano di consistenza nei loro animi
sopiti, un motivo di riscatto e ribellione li rendeva invincibili.
Di più, non vedevano l’ora di incontrare un milanista, per
irriderlo, per trattare i suoi Trofei, idoli inconsistenti, come ferri vecchi,
buoni per qualunque altoforno bresciano.
Nel salotto buono meneghino sparivano dietro drappi i
falsi motivi di orgoglio, sostituiti dalla calce del dischetto del rigore e
delle rimesse laterali.
Vanagloria appesa all’anelito dell’oblio spazzata in un amen
da ardimentosi portatori della memoria.
We will
never forget, sappiatelo!
E forget, non è la forchetta.
Vi bracco.
E non è un cane.
Mauro Andreini
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